Quando qualcuno menziona un «amato»
, l’ironia suona sempre in questo. Quasi nessuno riesce a pronunciare questa frase senza un sorriso. Era come se fossimo un po ‘scusati — e lascia che l’interlocutore capisca che non siamo seriamente. Ma perché lo facciamo?
Ma per molti anni ci siamo sbarazzati del patrimonio sovietico quando ci è stato detto da scuola che «sono l’ultima lettera dell’alfabeto». Ricordavamo sia l’orgoglioso «AZ», a capo dell’alfabeto slavo e sull’eterno-occidentale «io» anglo-americano «I». Abbiamo anche ricordato che l’amore per noi stessi è un punto di riferimento, perché si dice: «Ama il tuo vicino come te» (Matthew. 22:39).
Sì, e gli psicologi non si stancano di ripeterlo fino a quando non impareremo ad amare noi stessi, ci torneremo con una frenetica sete di amore. Ma non importa come la cerchiamo nel mondo esterno e non importa quanto la troviamo, la nostra sete rimarrà instabile. Perché, senza una fonte di amore in noi stessi, non saremo in grado di impararlo dall’esterno. E rimarrà per sempre per noi qualcosa che «scorreva sui baffi, ma non è entrata in bocca».
Ma tutto ciò non aiuta. Non possiamo amarci. E anche i tentativi di ciò ci vergogniamo. Pertanto, siamo guadagnati dall’intonazione di «noi stessi, amati», lo pronunciano come una citazione del discorso di qualcun altro, come una parola il cui significato ci è noto, ma in base alla quale noi stessi non firmeremo.
Ma perché? Se abbiamo accettato e deciso che amare noi stessi — è possibile, è necessario e buono, da dove viene la nostra timidezza?
C’è motivo per lei. E si trovano nel significato, ovvio e implicito, le parole «amore». I dizionari più spesso definiscono l’amore come una forte attrazione emotiva, tendenza cardiaca. Ma tale attrazione e tendenza causano oggetti in noi, che ammiremo.
Amato, bambini, patria, animali domestici o natura selvaggia — tutto ciò che amiamo ci sembra bello. È vero il contrario: ciò che ci sembra bello, amiamo.